Una tra le cose che più amo della vita qui nel sud Italia è l’ospitalità. Quando vengo invitato a pranzo, mi è impossibile mangiare e bere tutto quello che mi viene presentato a tavola. La gente onora e offre tutto ciò che ha di meglio al proprio ospite. Mi è veramente piaciuto il modo in cui gli italiani danno il loro benvenuto ai loro ospiti.
C’è un abisso in questo senso tra l’ospitalità alla quale assistiamo nei paesi del medio – oriente rispetto forse a quei paesi in cui questa non la si percepisce, come in Nuova Zelanda ed i paesi occidentali. Nei prossimi giorni ho intenzione di investigare sul concetto di ospitalità e sul significato centrale che dovrebbe assumere nella fede di oggigiorno.
Nella società contemporanea occidentale, il concetto di ospitalità è di solito associato a quello di cerimoniale e di intrattenimento. In passato, in particolar modo presso i greci ed i romani, l’ospitalità rappresentava un diritto divino. Si pretendeva che l’ospite si sincerasse che non fossero trascurate le sue necessità. Wikipedia menziona che i greci col termine xenia volessero esprimere questa relazione fra ospite – amico al quale viene ad aggiungersi un ulteriore termine, quello di teoxenia attraverso il quale in questa relazione si chiama in causa un dio. Mi domando se, in effetti, teoxenia non sia il termine appropriato da utilizzare nel momento in cui diamo ospitalità a qualcuno. Magari nell’ospitalità riusciamo a fare entrare Dio in quella determinata situazione. Può, in definitiva, l’atto dell’ospitalità equivalere in certo qual modo all’atto supernaturale che porta la presenza di Dio nelle nostre vite di ogni giorno?
Jason Foster sostiene che l’ospitalità Cristiana, così come ci è insegnata nella Bibbia, è un processo sacro per mezzo del quale “riceviamo” estranei e tramutiamo loro in ospiti. Durante questo processo sacro, Cristo è presente.
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